Il punto su Sharitaly
Terminato Sharitaly, il primo evento sull’economia collaborativa in Italia. Imprese, start-up, amministrazioni pubbliche ed esperti internazionali insieme per discutere di un modo alternativo di fare economia, con nuovi modelli di produzione e di consumo
160 piattaforme di scambio e condivisione, 40 esperienze di autoproduzione, 60 crowding. Si tratta di “sharing” per la condivisione di beni, servizi, informazioni, spazi, tempo o competenze, di “bartering”, ovvero il baratto tra privati ma anche tra aziende o di “crowding” con pratiche come il crowdsourcing e crowdfunding ma anche di “making” cioè di autoproduzione dall’hobbismo alla fabbricazione digitale (fablab). Ecco i nuovi termini dell’economia alternativa.
Nata da pochi anni in Italia ma già presente negli altri Paesi, la Sharing Economy presenta numeri più che triplicati. I settori in cui è maggiormente attiva sono quelli del turismo, trasporti, delle energie, dell’alimentazione e del design.
I dati sono quelli rilevati da una ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore presentata da Silvia Mazzucotelli Salice a Sharitlay, il primo incontro interamente dedicato all’economia collaborativa che si è svolto il 29 novembre a Milano.
Sharitaly, curato da Collaboriamo.org con il contributo scientifico e organizzativo di Università Cattolica del Sacro Cuore e Fondazione Eni Enrico Mattei, è il primo incontro che si propone di riflettere sul potenziale di nuovi modelli di produzione e di consumo basati sul riuso e sulla condivisione. Un evento importante perché, come spiega April Rinne, uno dei massimi esperti internazionali di economia collaborativa, “il consumo collaborativo e l’economia collaborativa stanno cambiando il modo in cui viviamo, lavoriamo e consumiamo per creare un futuro più sostenibile. Questi nuovi modelli stanno trasformando interi settori – come i trasporti, il turismo e l’educazione – e sono promettenti per imprese innovative, imprenditori e amministrazioni pubbliche”.
Marta Mainieri di collaboriamo.org parla di un nuovo modello di servizio che può essere un’opportunità per start up, aziende e amministrazioni ma, anche, per rispondere alle sfide a cui sono chiamate a rispondere le nostre città (più povertà, inquinamento, insicurezza).
Per capire il panorama delle start UP italiane da più di un anno la directory collaboriamo.org monitora e registra i servizi collaborativi italiani: servizi giovani, nati per la maggior parte tra il 2012 e il 2013, in crescita seppur con qualche difficoltà. Ma vediamo con quali risultati. Crescono bene le start up internazionali che arrivano in Italia (Airbnb registra nell’ultimo anno un +354% con 50mila alloggi disponibili e 12mila ospiti al giorno, mentre Blablacar riporta ogni giorno un +150%), ma anche alcune piattaforme italiane: Fubles, per esempio (337mila giocatori per 77mila partite giocate) o Gnammo (12mila iscritti con + 4.500 gnammers) sono significative per la loro capacità di creare relazioni con l’economia tradizionale.
Pesano però alcune criticità e ritardi quali la scarsa familiarità con internet degli italiani, la mancanza di regolamentazione normativa, i pochi fondi di investimento erogati, nonché la scarsa preparazione imprenditoriale dei giovani italiani.
Tuttavia questi servizi possono rappresentare un’opportunità per aziende e amministrazioni (alcune delle quali stanno già sperimentando), sia perché offrono nuovi modelli di business, sia perché possono rafforzare la coesione sociale, salvaguardare l’ambiente, favorire la ridistribuzione della ricchezza e trattenere i giovani.
Sharitaly è presentata da Federico Capeci la ricerca curata da Duepuntozero DOXA che analizza per la prima volta la propensione degli italiani all’utilizzo di questi servizi. Con un 13% della popolazione che ha utilizzato almeno una volta servizi di sharing, l’economia collaborativa in Italia si avvicina al punto di svolta per la diffusione di un fenomeno tra la popolazione (previsto al 15%).
I primi utenti, per lo più uomini con livello di istruzione elevato e residenti in grandi centri abitati, hanno utilizzato almeno una volta servizi di Sharing perché propongono soluzioni innovative e rispettose dell’ambiente, favoriscono la socializzazione ma anche il risparmio economico. Tra i servizi più utilizzati quelli legati alla mobilità (car sharing), alloggio condiviso, scambio e baratto.
Tra le resistenze di chi non ha provato i servizi di sharing, infatti, le più diffuse riguardano sia la condivisione di beni di proprietà sia alla fiducia verso gli altri.
“L’economia collaborativa è un fenomeno estremamente interessante per un economista” ha dichiarato Mario Maggioni, professore ordinario di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, “perchè ha le caratteristiche delle grandi innovazioni: un aspetto tecnologico (l’utilizzo intensivo dei social media), uno sociale (nell’economia collaborativa ci si può fidare degli sconosciuti) ed uno mediatico che – come spesso succede – tende a esagerarne il carattere ‘rivoluzionario’. La sua crescita, a partire dal 2008-2009 con la crisi globale, beneficia delle ‘scarsità relative’ di risorse insieme a un’‘abbondanza relativa’ di tecnologie e, soprattutto, di accesso ad esse. Alcune cifre: l’investimento di venture capital nel settore è cresciuto di otto volte dal 2009 al 2011”.
Un altro contributo alla riflessione sulla sharing economy è giunto da Daniela Selloni, del Politecnico del Design di Milano: “in presenza di economie sempre più basate sui servizi” ha spiegato, “è importante una progettazione che li renda il più possibile efficaci, efficienti e piacevoli, sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. Gli utenti diventano veri e propri service-makers perché letteralmente auto-producono i servizi di cui hanno bisogno, operando in una zona ibrida a metà tra pubblico e privato, mercato e società, amatoriale e professionale, profit e no profit”.
Dal punto di vista normativo la sharing economy è tanto innovativa quanto complessa: i problemi con i quali si sta confrontando Airbnb in America ed in Canada e quelli che ha incontrato Uber in Italia per l’attività di trasporto, evidenziano la necessità di adeguare il contesto normativo per consentirne lo sviluppo. Umberto Piattelli e Laura Quintavalla, dello Studio legale Osborne Clarke, hanno messo in luce un primato dell’Italia: è il primo Paese al mondo a dotarsi di una legge e di un regolamento sull’equity based crowdfunding, un modello di raccolta di fondi, sotto forma di investimenti di capitale, a sostegno dello sviluppo delle start-up innovative.
Momento centrale di Sharitaly è stato quello del pomeriggio, presso la sede della Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM). Lì, un centinaio di partecipanti, selezionati tra start-up, grandi imprese, imprese sociali e pubbliche amministrazioni si sono confrontate per definire un modello collaborativo di “fare impresa” che possa fornire risposte concrete alle aziende di fronte ai “nuovi” consumatori e all’esigenza di cambiamenti nei propri processi e prodotti.
Per favorire l’interazione e stimolare la riflessione tra realtà molto differenti, i partecipanti sono stati suddivisi in piccoli gruppi che hanno lavorato sui seguenti temi: Finanza e crowdfunding, Lavoro e coworking, Turismo, territorio e mobilità, Nuovi consumi e stili di vita e Non profit.