L’evento organizzato da Donna in Affari e UPCAR sulla tutela del territorio, dell’ambiente e del paesaggio rurale e urbano
“Ambiente, agricoltura e tutela del paesaggio: elementi di informazione scientifica per la cronaca giornalistica”, questo il titolo dell’evento sulla tutela del territorio organizzato il 4 ottobre a Roma dall’Università Popolare dei Castelli Romani in collaborazione con Donna in Affari, allo scopo di dare un’informazione puntuale, scientifica e obiettiva ai giornalisti, in un’ottica di formazione continua.

Il green deal europeo e la tutela del territorio in Italia
Nel corso dell’incontro, coordinato dalla direttrice responsabile della nostra testata, Daniela Molina, sono emerse problematiche che richiedono soluzioni urgenti da parte dei decisori pubblici e sono state illustrate le tante attività di raccolta dati e di individuazione di soluzioni, che i vari istituti di ricerca mettono in atto allo scopo di arginare i danni dovuti all’incuria, alla mancanza di consapevolezza e alle normative poco lungimiranti.
L’Europa si è già mobilitata per conservare e incrementare il verde, emanando la scorsa estate un Regolamento in materia. Gli esperti, inoltre, hanno parlato di impieghi innovativi delle piante e di un’agricoltura al passo con i tempi e rispettosa delle tradizioni. Per arrivare a questi obiettivi, però, dobbiamo correre ai ripari e fermare l’effetto domino che si è prodotto a causa degli errori già fatti: cambiamento climatico, alluvioni, incendi indomabili. La consapevolezza e l’influenza dell’opinione pubblica sui decisori politici può cambiare la situazione ed è importante il ruolo dei giornalisti nel processo di conoscenza e di diffusione dell’informazione, a vantaggio soprattutto delle fasce povere della popolazione, le più colpite dalle emergenze climatiche e naturali.

Giustizia ambientale e sociale
Ha aperto i lavori Mauro Caliste, Presidente del V Municipio, l’istituzione capitolina che ha ospitato l’evento presso la Casa della Cultura “Silvio Di Francia”, a Villa De Sanctis. “Giornalismo e ambiente sono due argomenti in merito ai quali c’è molta sensibilità, soprattutto in un momento in cui si assiste a un tentativo di imbavagliare i giornalisti. I temi ambientali sono da noi fortemente voluti” ha precisato il Presidente del Municipio. “Continuiamo a inaugurare varie aree verdi nelle vicinanze delle scuole. Prima dell’estate, inoltre, abbiamo dato l’avvio ai nuovi orti urbani. L’obiettivo è di avvicinare all’ambiente i cittadini e le nuove generazioni”.

Giammarco Palmieri, Presidente della Commissione Ambiente di Roma Capitale, ha posto l’accento sulla situazione della popolazione più povera. “Siamo impegnati in un difficile percorso di transizione da un’economia che ha sostanzialmente devastato il pianeta, consumato le risorse e messo a rischio il futuro stesso della terra, a una società che sia più capace di mantenere – e addirittura di incrementare – i livelli di benessere delle persone, con un consumo e una rigenerazione delle risorse che sia differente.” A Roma la maggior parte delle “isole di calore” si trova in quartieri nei quali vivono le persone a basso reddito, dove il cemento prevale e il verde scarseggia. Si tratta di luoghi in cui le temperature medie non scendono mai al di sotto di un certo livello e creano dei problemi alla salute delle persone, soprattutto di quelle più fragili. L’obiettivo da raggiungere è fare in modo che la giustizia ambientale sia un elemento in grado di produrre giustizia sociale, ha detto Palmieri. Il Comune di Roma sta cercando di rallentare e di ridurre il cambiamento climatico attraverso il Piano Clima e il Piano di Adattamento climatico.


Il mondo in una zolla
Calpestiamo ogni giorno il suolo senza renderci conto di quanto sia preziosa e generosa la terra fertile e di come, al contrario, sia devastante e improduttivo quello creato dall’uomo. Un solo cucchiaino di questo prezioso elemento contiene miriadi di organismi viventi; peccato che si stia facendo scempio di tale ricchezza e si continui a costruire senza freno, togliendo spazio alle aree verdi. In Italia il 7,14% del territorio è direttamente coperto da cemento e da altri materiali artificiali, mentre in Europa la media è poco più del 4%. A fornire i dati è stato Michele Munafò, dirigente ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) responsabile scientifico dei Rapporti nazionali sul consumo di suolo in Italia e del Servizio per il Sistema informativo nazionale ambientale, il quale ha spiegato come la percentuale sia relativa alla sola superficie coperta dagli edifici e dalle strade; l’occupazione del terreno, dovuta ad accessori vari, può invece estendersi per ulteriori chilometri.
Tutela del territorio vuol dire protezione del suolo e quest’ultimo, come ha precisato il dirigente ISPRA, è una risorsa limitata e non rinnovabile, che si forma in tempi lunghissimi: occorrono mille anni perché si produca uno strato di pochi centimetri; una volta eliminato è perduto per sempre e senza terra non possiamo mangiare.
In molte città metropolitane i valori non sono del 7%, ma del 30, 40, o addirittura 60%. Questo dipende da una serie di fattori, anche di lungo periodo, perché quello che vediamo oggi sul territorio è spesso frutto di scelte di decenni fa, di strumenti urbanistici non aggiornati o poco coraggiosi.


La tutela del territorio, anche dal fuoco
La perdita di terreno, che procede a ritmo di 2,4 chilometri quadrati al secondo, produce effetti che influiscono sul clima, che provocano allagamenti frequenti e che potenziano incendi definiti “estremi”, ossia incontrollabili. Il comportamento del fuoco è cambiato dal dopoguerra ad oggi; con l’abbandono delle montagne e delle campagne, la vegetazione è diventata dinamica ed ha invaso le aree e le coltivazioni che un tempo servivano a contenere gli incendi. Ha spiegato Gianfilippo Micillo, dirigente Pianificazione e Coordinamento del Servizio AIB (lotta Attiva contro gli Incendi Boschivi) del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, che in pochi decenni siamo passati da un problema di tipo forestale a una questione di protezione civile, con fuochi che si propagano fino ai centri abitati e mettono a rischio tante persone. A peggiorare le cose interviene la vegetazione attaccata da parassiti che, insieme alla vegetazione spontanea, diventa un materiale altamente infiammabile; un esempio è quello degli ulivi pugliesi attaccati dalla xilella, che appaiono vivi e in realtà sono morti e che rischiano di ampliare a dismisura eventuali incendi.


L’agricoltura per la tutela del territorio
Si pensa di solito che i fuochi siano appiccati da piromani; spesso, invece, i responsabili sono gli agricoltori della vecchia generazione. I più anziani sono abituati a smaltire ogni cosa sul proprio terreno, dai residui della potatura ai rifiuti tossici, nella convinzione che il suolo possa diventare più fertile con i residui della combustione. Un merito va però riconosciuto a questi possessori di terra, ed è quello di presidiare e di conservare il territorio. Su questo tutti gli esperti hanno concordato e Viviana Broglio, Presidente di Confagricoltura Donna e imprenditrice del settore, ha posto anche l’accento sui costi di una scelta rispettosa della natura. “Io credo in un’agricoltura sostenibile; per esserlo da un punto di vista ambientale, però, occorre che lo sia anche dal lato economico. Per quanto riguarda il biologico, ad esempio, le politiche andrebbero più indirizzate verso misure pratiche. Stanno facendo di tutto per rendere il biologico poco conveniente, la mia azienda è tra le poche che resistono.”

Agricoltura e innovazione
Non tutto è negativo e i relatori hanno portato esempi di buone pratiche o di iniziative, private e pubbliche, dirette ad una tutela del territorio e dell’ambiente che sia in grado di coniugare tradizione e rinnovamento.
“Oggi le innovazioni sono lo strumento per rendere i sistemi agroalimentari sostenibili” ha detto Massimo Iannetta, responsabile della Divisione Sistemi Agroalimentari Sostenibili dell’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile). “Nel secolo scorso, con le rivoluzioni di vario tipo, meccanica, chimica, genetica e con l’esplosione demografica, c’è stata la necessità di produrre di più. La rivoluzione che stiamo cercando di fare oggi è quella green e digitale” ha precisato Iannetta. “A mio avviso, dobbiamo lavorare molto sull’adattamento e cercare di aumentare la resilienza dei nostri agro-ecosistemi ai cambiamenti climatici. Possiamo rispondere con delle soluzioni innovative a tutti gli impatti, diretti e indiretti che siano.”

Il dirigente Enea ha spiegato come sia necessario passare da una visione lineare dei sistemi di produzione ad una circolare, perché tutto ciò che facciamo possa essere a costo zero dal punto di vista ambientale e affinché i rifiuti – o i sottoprodotti della filiera – siano totalmente riutilizzati.
“Noi operiamo all’interno del genoma delle piante non per trasferire geni di organismi diversi, ma per silenziare o attivare geni dello stesso organismo, al fine di aiutarlo a superare le difficoltà legate al cambiamento climatico” ha proseguito Massimo Iannetta. Le biomolecole possono essere utilizzate per produrre vaccini, un’ottima soluzione per quei paesi che non se li possono procurare per motivi economici. Inoltre, attraverso una serie di sensori è possibile dare alle piante la giusta quantità di fertilizzante, di acqua e di prodotti fitosanitari, evitando sprechi e contaminazioni.”
Sono molte le soluzioni proposte dai ricercatori, non ultime quelle che prevedono l’istallazione di pannelli fotovoltaici sopra i tetti delle costruzioni cittadine o sopraelevati sulle aree coltivate.


Ue e ritorno alla natura
L’Europa si sta muovendo per conservare le aree verdi dei nostri territori, sia pubbliche, sia private. Il Regolamento sul Ripristino della natura (2022/869), entrato in vigore lo scorso agosto, ha l’obiettivo di ricondurre allo stato originario gli ecosistemi degradati e di non ridurre la superficie delle zone verdi, prendendo come riferimento la situazione che esisteva ad agosto 2024. Si punta a ripristinare almeno il 20% delle zone terrestri e marine del nostro continente entro il 2030. Il Regolamento si spinge oltre, perché dal 1° gennaio 2031 dovremo progressivamente aumentare le aree naturali per arrivare a ripristinare tutti gli ecosistemi entro il 2050.
Tornando all’Italia, occorre comunque intervenire sulla programmazione e sul governo del territorio, come ha fatto notare il Presidente dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma e provincia, Alessandro Panci. Le modifiche ai piani regolatori richiedono molti anni e spesso si è costretti a lavorare in deroga. Occorre mettere a sistema una serie di azioni che prevedano, tra l’altro, la possibilità di avviare attività agrituristiche, per continuare a produrre prodotti di nicchia e per valorizzare le tipicità dei territori.