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Reti d’impresa: ce ne sono 1500. Poche ma in crescita

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Rappresentano oggi lo 0,18 percento del totale. Ci si unisce soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana. E in Piemonte nasce la rete per il restauro dei beni culturali

Ne fanno parte per ora solo un piccolo numero di imprese italiane, ma, stando al trend, diventerà presto una formula molto diffusa e praticata. Si tratta delle cosiddette “Reti d’impresa”, accordi, o meglio contratti che consentono alle aziende di mettere in comune attività e risorse. Obiettivo: potenziare la propria competitività e accrescere le possibilità di innovazione. A tracciare l’identikit del fenomeno ci ha pensato l’Osservatorio Intesa Sanpaolo-Microcredito: al 1 giugno 2014 i contratti di rete registrati nel nostro Paese sono 1.590 con 7.870 imprese coinvolte, pari ad appena lo 0,18 percento del totale. L’arte imprenditoriale di mettersi assieme ha anche una geografia ben precisa perché è in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana che si concentra quasi la metà delle imprese associate. “Si tratta di una formula nata nel 2011” dice Giovanni Foresti, del Servizio Studi di Intesa Sanpaolo, “ma è solo negli ultimi mesi che abbiamo registrato un’accelerazione importante”.

Quali sono le imprese più propense a far rete? Da un punto di vista settoriale, scelgono questa via soprattutto le aziende che operano nei servizi, le costruzioni, l’industria in senso stretto (prodotti in metallo, meccanica, mobili). Con un comune denominatore: ad essere coinvolte sono soprattutto le micro e piccole imprese – quelle cioè con un fatturato inferiore a 10 milioni di euro – che rappresentano oltre l’87 percento del totale. Il motivo lo spiega bene Foresti: “per queste aziende è fondamentale unire le competenze, soprattutto se vogliono affrontare i mercati esteri”. Le imprese associate, inoltre, rappresentano quasi sempre pezzi diversi del settore perché “si va alla ricerca di complementarietà produttiva e commerciale. O si fanno cose differenti nello stesso segmento oppure si è presenti in mercati e Paesi diversi”.
presentazione-ricercaUn caso particolare in questo ambito è rappresentato dal Piemonte dove ad essere legate da un contratto di rete sono lo 0,1 percento delle aziende, meno della media nazionale. Ed è proprio per dare un impulso al fenomeno che, un anno fa, il Politecnico di Torino, la Confindustria, l’Ance piemontese e Intesa Sanpaolo hanno promosso il Laboratorio regionale reti d’impresa. Si tratta di un incubatore vero e proprio che promuove tavoli tecnici, seminari ed eventi finalizzati a far incontrare potenziali partner. 

A 365 giorni dallo switch on, l’esperienza ha dato vita a Poliart – Rete Politecna Restauro, un gruppo di sei imprese specializzate nel settore del restauro e della valorizzazione del patrimonio artistico, architettonico e monumentale. Dentro ci sono aziende simili ma con competenze complementari: da quella che si occupa del restauro degli edifici a quella che sa come rimettere “a nuovo” dipinti su tela, stucchi e sculture.

“Abbiamo deciso di puntare sul brand in cui più eccelle il settore delle costruzioni italiano: il recupero dei beni culturali” dice Giuseppe Provvisiero, presidente dell’Associazione costruttori di Piemonte e Val d’Aosta. “È una nicchia che offre molte occasioni e con la quale possiamo affacciarci all’estero senza dover temere una eccessiva concorrenza”.
E chissà che sia proprio Poliart a mettere mano a uno dei più incredibili giacimenti archeologici del nostro Paese, come suggerisce Giampiero Astegiano, amministratore Poliart: “siamo impegnati con le istituzioni accademiche nell’elaborazione di un progetto di gestione che possa rispondere ai problemi di fruizione, manutenzione e tutela del patrimonio culturale. Lo abbiamo chiamato, forse un po’ baldanzosamente, ‘Salva Pompei’”.
Per ora è tutto solo sulla carta, ma non è detto che non venga proprio dal Piemonte la ricetta per restituire splendore all’antica città.

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Egilde Verì

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