Donne Impresa
Cresce in Italia il numero delle imprenditrici: un mondo coniugato al femminile fatto di ottimismo, speranze ed incertezze. Alla Convention di Confartigianato tutti i suoi segreti, anche quelli sul mondo dei finanziamenti alle imprese femminili
Quali sono le caratteristiche di una brava imprenditrice italiana e con quali problemi deve misurarsi costantemente? La risposta è stata fornita da una platea di lavoratrici autonome che hanno preso parte alla XV Convention organizzata da Confartigianato Imprese a Roma, il 21 e il 22 ottobre scorsi, intitolata “Donne impresa”.
Chiamare le imprenditrici del Belpaese “capitane coraggiose”, con una definizione tratta dal titolo del noto libro di avventure di Kipling, è un’idea di Edgarda Fiorini, Presidente di Donne Impresa Confartigianato, e non è un pensiero esagerato poiché nella sua semplicità racchiude tutte le difficoltà che il sesso femminile incontra ed incontrerà.
La differenza di genere, purtroppo, tocca anche le lavoratrici autonome. Ne è un esempio la possibilità di ottenere prestiti, problema che si evince dall’intervento di Francesca Lotti, del servizio studi struttura economica e finanziaria della Banca D’Italia: “riceviamo, come Ente, molte domande per ottenere finanziamenti per progetti di avviamento, il cosiddetto Start Up. Purtroppo nasce un problema di discriminazione statistica e molte aspiranti imprenditrici pagano un prezzo più alto per l’accesso al credito, rispetto ai colleghi uomini; e spesso nelle pratiche è richiesta, come garanzia, una presenza maschile a prescindere che si tratti di un padre, di un fratello o di un marito. Una donna, aggiungo, è molto più credibile se gestisce una attività che, negli anni, è sempre stata appannaggio dell’universo rosa. Ottime possibilità di concessione di denaro si intravedono, perciò, per centri estetici o locali enogastronomici. Maggiore diffidenza nasce, invece, in casi di aziende orientate all’edilizia, se il capo porta la gonna. Le contraddizioni toccano anche il web. Fino al 2009 se ognuna di voi avesse digitato sul canale di ricerca Google ‘Imprenditrici di successo’ avrebbe notato che il provider avrebbe coniugato la voce al maschile e quindi in ‘imprenditori di successo’, anomalia che attualmente pare non esserci più”.
Eppure tutte queste discriminazioni – lo rivelano i dati dell’Osservatorio sull‘imprenditoria femminile – sono pienamente immotivate, come ha confermato Edgarda Fiorini: “gli ultimi anni di crisi hanno generato una mattanza aziendale, decimando gli imprenditori italiani che dal 2008 al 2013 sono diminuiti dell’84%. Problemi causati dalla pesante congiuntura economica sembrano aver solo sfiorato le capitane coraggiose; infatti il numero delle lavoratrici indipendenti autonome è diminuito nella misura del 6,7%, un calo inferiore rispetto alla componente maschile. Sono state capaci di fronteggiare il complesso periodo economico, in particolar modo, le donne alla guida di aziende con dipendenti, che nel quinquennio hanno visto aumentare il loro capitale umano di 28.900 unità, pari all’8% in più”.
Una propensione tutta a tinte rosa che vede l’Italia troneggiare in Europa per il maggior numero di attività guidate da donne. In ambito regionale un boom di aziende a conduzione femminile è riconosciuto alla Lombardia con 305.720 imprenditrici. “Un commento che mi nasce dal cuore” prosegue Fiorini: “fare impresa è sempre di più un mestiere per donne e siamo in presenza di una imprenditoria che va incoraggiata, non sminuita ed avvilita. Abbiamo bisogno di interventi che possano liberarci dai troppi vincoli che soffocano il nostro universo. Grandi aiuti ci aspettiamo che giungano da un welfare più partecipe che sappia donare alle donne ampi spazi d’azione, tra lavoro e famiglia. La spesa pubblica per generare e mantenere figli e famiglia è pari a 20,3 miliardi, equivalente all’1,3% del Pil ed inferiore del 39,3% rispetto alla media dei 27 Paesi dell’Unione Europea. Una netta riduzione del congedo obbligatorio di maternità si attesta, nel 2012, con un calo del 6,8% degli utilizzatori rispetto al 2011. Il mio auspicio è che mondo politico ci sostenga e non che ci affossi. A tal proposito mi piace sollecitare il Governo ad impegnarsi per la riapertura del Tavolo dell’imprenditoria femminile, chiamando in causa le nostre associazioni di categoria. Si potrà continuare a parlare di imprese gestite da donne solo se ogni manager potrà beneficiare di quei 20 milioni di euro da offrire alle imprese femminili”.
Giunge da più fronti l’amara constatazione che il welfare italiano non aiuta l’occupazione femminile. Secondo l’Osservatorio di Confartigianato in Italia quasi una donna su due è inattiva, con differenze significative a seconda della regione di residenza. A Bolzano il tasso di inattività femminile è pari al 31,9%, mentre in Campania il record è negativo, con il 64,4%.
Ma se le normative vigenti ed il sistema bancario esistenti non offrono un terreno facile per le imprenditrici italiane, vi sono esempi di bravura e di riscatto che possono nascere da impegno e soluzioni alternative.
A dimostrarlo sono state le storie di Mirella Marenco, operante nel settore tessile, e di Elena Salzano, imprenditrice nel campo della comunicazione integrata.
Per Mirella l’esordio, avvenuto vent’anni fa, è stato caratterizzato da ottimi fatturati, ma con il tempo e la crisi attuale si è dovuta confrontare con decisioni e strategie importanti. Ci ha raccontato: “ho avvertito l’esigenza di non abbandonare quanto costruito nel tempo ed ho pensato di riconvertire la mia azienda e di rivalutare il mio marchio. Così poco alla volta mi sono rimessa in carreggiata, avviando collaborazioni con donne di altre nazioni. Questo nuovo spaccato mi ha fatto comprendere che all’estero viene attribuito alle lavoratrici artigiane il giusto riconoscimento, e mancano quei tremendi retaggi arretrati, figli del maschilismo, che vedono prediligere azioni in favore degli uomini e non delle donne. Basti pensare che, per una trattativa commerciale in corso, alle donne vengono offerti prezzi minori rispetto agli uomini”.
Di altra natura l’esperienza di Elena Salzano (guarda il video dell’intervista), dalla cui intraprendenza nel 1999, a Salerno, è nata “inCoerenze”, con la finalità di promuovere progetti negli eventi e nella Comunicazione. “Sono felice di essere qui e di raccontarvi che si può agire in contesti non così usuali nella propria terra d’origine. Grazie al mio entusiasmo e ad una preparazione continua – indispensabile per potersi destreggiare in un mare di norme – ho dato concretezza al mio sogno lavorativo. In questi anni ho dovuto rivendere le mie competenze in contesti più ampi, perché per me è fondamentale esportare il proprio sapere a livello nazionale. Mi rendo conto delle difficoltà economiche e di un welfare poco conciliante, ma sono riuscita con il mio staff composto da altre dieci colleghe, a creare ciò che volevo. In questo percorso, non sempre in discesa, ho usufruito dell’appoggio emotivo ed economico della mia famiglia. I temi che vorrei fossero oggetto di revisione? La conciliazione e l’accesso ai finanziamenti.”
Dare credito ai sogni è possibile con l’alternativa concessa da Andrea Limone, amministratore delegato di “Permicro”, società etica torinese nata tre anni fa. “La mia idea” dice Limone “nasce con l’intento di coinvolgere tutti coloro che, per particolari situazioni, non avrebbero accesso a prestiti. Permicro si ispira al sistema creditizio in auge a fine ’800, basandosi sul criterio delle reti sociali. Le nostre garanzie sono offerte da associazioni che sono in grado di sostenere il progetto del richiedente. I finanziamenti erogati per le piccole imprese ammontano a 25 mila euro e sono concessi in tempi rapidi, entro dieci giorni. In questi tre anni abbiamo erogato microcrediti per 2500 imprenditori”.
Altri possibili canali di finanziamento, diversi dal consueto sistema bancario, si rintracciano nel crowd funding, che è un percorso di condivisione di denaro per sostenere gli sforzi di più persone o organizzazioni. Questo particolare canale si sviluppa attraverso il web, che è luogo privilegiato per la socializzazione virtuale.
Il più noto utilizzatore del crowd funding è stato Barack Obama, che così ha pagato parte della sua campagna elettorale, grazie al denaro offerto dai suoi elettori. In Italia il nuovo processo di condivisione, applicato al mondo dell’imprenditoria, stenta a decollare, ci racconta Daniela Castrataro, Direttore presso Twintangibles Co, in Scozia.
Durante l’incontro si è voluto mettere in risalto l’impegno di fondazioni ed imprese che con il loro lavoro hanno garantito assistenza a donne vittime di violenza. Per tale ragione con la targa “Sole d’argento” sono state premiate la Fondazione Doppia Difesa e Adonella Fiorito, ideatrice del centro Antiviolenza “Mai + sole”.
Ma le risposte della politica non sono mancate e tanti punti oscuri sono stati chiariti da Simona Vicari, Sottosegretario di stato per lo Sviluppo Economico: “la parola d’ordine per agevolare l’imprenditoria femminile è ‘semplificazione’. Ciò significa che deve cambiare il sistema delle relazioni tra Stato e impresa. Infatti in Italia per creare una attività imprenditoriale il presunto lavoratore autonomo deve investire 2.500 euro circa. In merito all’attuale piano di stabilità chiederò che venga introdotto, all’interno di esso, un fondo di garanzia per le donne. Altro punto da non trascurare è la revisione dell’attuale legge sull’imprenditoria femminile”.
La conclusione è stata affidata a Edgarda Fiorini: “il mondo bancario non deve rimanere insensibile alle richieste delle nostre imprese, perché gli istituti di credito nostrani mostrano poca apertura. Noi imprenditrici dobbiamo fronteggiare spese enormi e rendersi conto che non è possibile esigere dei crediti dai privati e poi dallo Stato è inammissibile. Altra nostra richiesta è quella di diminuire le detrazioni fiscali, dato che le tasse incidono sul fatturato nella misura del 68,3%. Non vogliamo che si faccia del male all’Italia e speriamo che il nostro grido di speranza sia compreso”.
Paola Paolicelli