Ecco la nostra intervista esclusiva alla Consigliera Eleonora Mattia, presidente della Commissione Pari Opportunità, Lavoro, Formazione, Politiche giovanili della Regione Lazio
L’avvocata Eleonora Mattia è componente del Consiglio regionale del Lazio, con la fondamentale mansione di presidente della IX Commissione – Lavoro, formazione, politiche giovanili, pari opportunità, istruzione, diritto allo studio. Noi l’abbiamo intervistata sui temi: violenza di genere, aiuti concreti alle donne vittime di violenza ed ai loro figli, stanziamenti di fondi ed iniziative pratiche a sostegno delle vittime di violenza e sull’impegno per un cambio radicale della narrazione ma soprattutto nell’educazione delle giovani e future generazioni. E siamo partite da un aspetto “inedito” di questo ambito, di cui si parla poco: quello storico.
La nostra intervista alla presidente Eleonora Mattia
Presidente Eleonora Mattia, partiamo da una data simbolica: il 25 novembre è il giorno nel quale si parla, con enfasi, di violenza di genere e di violenza sulle donne in maniera più forte. La violenza sulle donne purtroppo è un marchio che abbiamo impresso sulla coscienza da millenni. I miti greci ci narrano di donne violate, violentate, distrutte e poi costrette, loro, le vittime, a subire il castigo inflitto dalla società. In rarissimi casi, però, la bruta violenza ha portato ad una sollevazione di popolo: nel 509 a.C. lo stupro perpetrato ai danni di Lucrezia a Collatia (oggi siamo nel V Municipio di Roma) comportò la cacciata dei re Tarquini e l’istituzione della res publica romana. Della parte riguardante Lucrezia pochi se ne ricordano eppure fu la sua violenza ad innescare quel germe di rivolta che portò al nuovo regime democratico. Ed oggi? Come potrebbe essere vista oggi la storia di Lucrezia?
Onestamente, dal punto di vista sociale sono stati fatti pochi passi in avanti concreti. Nel 2020 è ancora molto forte il retropensiero per cui una donna che subisce una qualsiasi forma di violenza – finanche la più terribile che culmina con l’uccisione – abbia in qualche modo una quota, spesso consistente, di colpa per l’accaduto. Il modo di raccontare la violenza sui media è ancora profondamente sbagliato e vittimizzante: le donne vengono sempre rappresentate come in qualche modo complici o corresponsabili di ciò che subiscono e anche di fronte alla morte non smettono di essere accostate ai loro aguzzini, in una narrazione tossica e, credo, ormai ingiustificabile. Non solo vittime, ma anche, troppo spesso, non credute e colpevolizzate per essere state, di volta in volta, non abbastanza accorte o morigerate, non aver considerato attentamente i rischi di alcune situazioni (come se ciò fosse sempre e comunque possibile), non aver saputo dire no, essere state troppo attraenti. Sono tutte espressioni che nascondono una certa intolleranza per la libertà femminile. La vera rivoluzione in questo senso credo risieda nel ribaltare la narrazione, smettere di pensare che siano le donne a doversi “difendere” e cominciare ad educare gli uomini a non essere violenti, a non molestare, ad accettare un rifiuto e chiedere il consenso, a rispettare le scelte e la libertà delle compagne. Cominciamo a dare nome e cognome ai veri colpevoli, a credere alle donne che denunciano e che hanno il coraggio di affrontare quello che Tina Lagostena Bassi definiva il Processo per stupro che ha come imputata la donna.
Le vittime di violenza; anche qui la storia ci mostra numerosissime tragiche testimonianze, subiscono sia la brutale violenza nel momento dell’atto ma anche la strisciante e continua violenza di una società disposta sempre a dare, in prima battuta, la colpa alla donna. Per potersi riprendere psicologicamente e socialmente da tale terribile trauma le donne devono poter essere seguite in percorsi di riabilitazione. Avvocata Eleonora Mattia, quali le misure messe in campo dalla regione Lazio?
La Regione Lazio è in prima linea nel contrasto alla violenza di genere, con una serie di interventi integrati e trasversali che mirano a implementare, per quanto di competenza, gli obblighi della Convenzione di Istanbul sintetizzati nelle tre P: prevenzione, protezione e persecuzione degli autori. Il quadro normativo è quello della legge regionale n. 4 del 2014, con la quale sono state riordinate le disposizioni in materia di contrasto alla violenza contro le donne, per la promozione di una cultura del rispetto dei diritti umani fondamentali e delle differenze tra uomo e donna, prevedendo interventi regionali finalizzati alla promozione di politiche integrate di prevenzione e contrasto alla violenza di genere. Tra le azioni previste vi è il sostegno e il potenziamento delle strutture e dei servizi di presa in carico, di accoglienza e di reinserimento sociale e lavorativo delle donne vittime di violenza e dei loro figli, ma anche la promozione e il rafforzamento delle reti locali idonee a prevenire gli episodi di violenza. Ancora, progetti con le scuole, formazione professionale degli operatori pubblici e del privato sociale e interventi volti a sostenere l’autonomia economica e psicologica delle vittime. In applicazione della L.R. 4/2014 da sei anni nel Lazio è operativa la Cabina di regia per la prevenzione ed il contrasto della violenza contro le donne, che si occupa di coordinare tutti gli interventi e le misure in materia. Da quando sono stata eletta in Consiglio regionale e poi Presidente della Commissione Pari opportunità sono numerose le ulteriori misure varate per sostenere le donne vittime di violenza. Penso alla Legge regionale 3/2020 che è intervenuta, integrando la normativa nazionale, sul fenomeno del c.d. Revenge Porn impegnando la Regione a garantire interventi di prevenzione, sostegno alle vittime e, in generale, di diffusione della cultura del consenso e del rispetto della dignità nonché della vita privata. Specificatamente rispetto al supporto delle vittime, non posso non citare il virtuoso Protocollo tra Procura generale e Ordine degli psicologi del Lazio, che promuove un approccio di rete per realizzare iniziative di assistenza, protezione e ascolto delle vittime tramite il coinvolgimento delle istituzioni giudiziarie, dei servizi sociosanitari, dei centri antiviolenza e delle forze dell’ordine. Un sistema virtuoso, già sperimentato dal 2016 con la Procura di Tivoli, che permette la presa in carico delle vittime vulnerabili, garantendo protezione e tutela durante tutto l’iter giudiziario.
La Regione Lazio, in particolare la Giunta, grazie anche a tutto il lavoro del Consiglio e delle commissioni, si è impegnata in una politica che fornisca alle donne vittima di violenza, o che ne abbiano necessità, di poter accedere ad una serie di servizi e di aiuti. L’acquisto della casa di Donatella Colasanti, con il suo alto valore simbolico e di riconoscimento dell’orrendo delitto perpetrato ai danni di due giovani donne e l’autorizzazione per presentare un’offerta cauzionata per l’acquisto della Casa delle donne Lucha y Siesta ne sono un esempio concreto. Aver posto l’attenzione sulla copertura economica della delibera approvata in giunta è concretamente un atto che permetterà alle donne di poter essere aiutate. Consigliera Eleonora Mattia, quali altre azioni concrete sono state realizzate?
Intanto, negli ultimi anni è stata fortemente implementata la rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio sul territorio regionale che, ad oggi, si compone di 23 Centri antiviolenza attivi e 4 in via di apertura, 10 Case rifugio operative e 6 in via di apertura, di cui 1 Casa di semiautonomia. Abbiamo istituito il contributo di libertà rivolto alle donne che hanno subito violenza, segnalate dalle legali rappresentanti delle Case rifugio e dei Centri antiviolenza della rete regionale, al fine di riconoscere un sostegno nella delicata fase di conquista dell’autonomia personale delle donne, anche con figli/figlie minori. Abbiamo assegnato alloggi ATER alle donne vittime di violenza. Ci sono poi due iniziative molto concrete e di cui sono stata promotrice che mi rendono particolarmente orgogliosa. La prima, l’istituzione del Premio Colasanti-Lopez dedicato alla memoria delle due giovani donne vittime del massacro del Circeo, con il quale la Regione collabora con gli istituti superiori allo scopo di sensibilizzare i giovani e le giovani sul tema della violenza di genere. Il primo passo del percorso che ha portato all’acquisto della Casa di Sezze e che finirà con il dare al territorio di Latina un centro antiviolenza dedicato a Donatella. Infine, grazie a un mio emendamento al bilancio dello scorso anno, il 25 novembre abbiamo firmato il Protocollo d’Intesa tra Regione Lazio e Ordine degli avvocati di Roma per garantire il “Patrocinio legale” alle donne vittime di violenza, senza limiti d’età e che non dispongono di un reddito sufficiente ad assicurarsi un’adeguata difesa. Sono tante le azioni messe in campo, concrete e trasversali, a dimostrazione di un impegno della Regione Lazio al fianco delle donne sincero, costante e che mette sempre al centro le voci, le esigenze e le vite delle destinatarie.
Un’ultima domanda, di genere (nel senso più stretto del termine): presidente Eleonora Mattia, finalmente la si potrà appellare come consigliera e non consigliere. Quanto ancora di patriarcale burocrazia bisognerà cancellare per arrivare ad una amministrazione paritaria nel genere?
Questa è una questione complessa. In realtà, benché la grammatica italiana sia molto chiara sulla declinazione femminile dei sostantivi, c’è ancora una fortissima resistenza socioculturale per quanto riguarda l’utilizzo dei termini corretti per nominare le donne che ricoprono cariche politiche e in generali ruoli apicali e di prestigio o che esercitano professioni tradizionalmente appannaggio degli uomini. Non si può dire lo stesso di tante altre professioni o sostantivi che pure per secoli sono state precluse alle donne. Professoressa, ma non avvocata. Infermiera, maestra, ragioniera, ma non ingegnera o ministra. Certo, negli ultimi anni le cose sono molto cambiate e anche il dibattito a livello nazionale ha contribuito. Sicuramente si tratta di un mutamento culturale, tanto che l’Accademia della Crusca ha ricordato che la declinazione femminile di molte professioni non solo è corretta linguisticamente, ma è sintomo positivo di un mutamento del linguaggio. Io credo che negare il femminile quando una donna si qualifica o viene qualificata sia una forma di violenza, un tentativo subdolo di delegittimare l’autorità femminile e rendere invisibili i corpi e le vite delle donne. Se qualcuno si rivolge a me chiamandomi “Consigliere” c’è il rischio che neanche mi giri, oltre che mi offenda. Le donne ci sono e nominarle è il primo passo, tramite il potente strumento della lingua, di dare loro rispetto e lo spazio che si meritano.