Gli effetti prodotti dal Covid-19 ricadono anche sulla occupazione femminile, il mercato del lavoro registra una perdita di 470.000 posti di lavoro femminili in un trimestre
La crisi dell’occupazione femminile è parte degli effetti prodotti dal Covid-19 sul mercato del lavoro. Tra il secondo trimestre 2019 e lo stesso periodo del 2020, 470 mila occupate in meno, con un calo nell’anno del 4,7% (vs. un decremento dell’occupazione maschile del 2,7%, -371 mila occupati). Su 100 posti di lavoro persi (in tutto 841 mila), quelli femminili rappresentano il 55,9%. È quanto emerge dal focus “Ripartire dalla risorsa donna” della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
La crisi della occupazione femminile a seguito della crisi sanitaria
Le donne sono le più penalizzate dalla pandemia. Anche il calo dei posti di lavoro femminili va inserito tra gli effetti prodotti dal Covid-19: i posti di lavoro persi dalle donne sono, nel trimestre, 470 mila, per un calo nell’anno del 4,7%. Su 100 posti di lavoro persi (in tutto 841 mila), quelli femminili rappresentano il 55,9%, a differenza dell’occupazione maschile, che ha dato prova di maggior tenuta registrando un decremento del 2,7% (371 mila occupati).
Dove si registra il maggior calo di occupazione femminile
La maggiore contrazione di lavoro femminile si registra nell’occupazione a termine (-327 mila lavoratrici per un calo del 22,7%), nel lavoro autonomo (5,1%.), nelle forme in part-time (-7,4%) e nel settore dei servizi. L’industria, dove il lavoro maschile è prevalente, ha per ora retto di più, mentre sono stati appunto i servizi, tradizionale bacino di impiego femminile, a pagare il costo più caro: è il caso del sistema ricettivo e ristorativo, dove le donne rappresentano il 50,6% dell’occupazione, e dei servizi di assistenza domestica, dove il lavoro femminile arriva all’88,1%. Entrambi hanno contribuito in maniera decisiva al negativo saldo occupazionale, determinando il 44,2% delle perdite complessive dei posti di lavoro, e ben il 51% con riferimento a quelli femminili
Ripartire dalla risorsa donna
I dati sono evidenziati dal focus “Ripartire dalla risorsa donna”, realizzato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, che sottolinea come l’impatto nei primi sei mesi dell’anno “suoni già quale forte campanello d’allarme per l’occupazione femminile alla luce della nuova ondata di contagi e delle chiusure territoriali predisposte per contenere l’emergenza, che potrebbero portare molte altre donne ad abbandonare il proprio lavoro”. L’esperienza vissuta durante il lockdown primaverile le ha viste, infatti, gestire un sovraccarico di lavoro senza precedenti. Da un lato sono state più impegnate degli uomini nell’attività lavorativa (il 74% ha continuato a lavorare rispetto al 66% degli uomini), dovendo garantire servizi essenziali in settori a forte vocazione femminile: scuola, sanità, pubblica amministrazione. Dall’altro lato, con la chiusura delle scuole, hanno dovuto garantire la presenza al lavoro e al tempo stesso assistere i figli impegnati nella didattica a distanza, con un livello di stress elevatissimo per quasi 3 milioni di lavoratrici con un figlio a carico con meno di 15 anni (30% delle occupate).
Occupazione femminile. Costrette a rinunciare al lavoro
L’esperienza negativa dell’home working unita alla scarsa flessibilità organizzativa di molte realtà lavorative e alla difficile conciliazione vita-lavoro, rischiano di acuire il malessere del genere femminile. Infatti nell’ultimo anno la tendenza ad allontanarsi dal lavoro, rinunciando anche alla ricerca di un’occupazione, è cresciuta sensibilmente, facendo registrare tra giugno 2019 e 2020 un incremento di 707 mila inattive (+8,5%), soprattutto nelle fasce giovanili. Il tasso di attività femminile, nello stesso arco di tempo, è diminuito di 3 punti percentuali, passando da 56,8 a 53 così annullando, in pochi mesi, i progressi fatti nell’ultimo decennio in termini di innalzamento dei livelli di partecipazione femminile al lavoro.
L’apporto delle donne al mercato del lavoro
“Le donne apportano un contributo rilevante all’occupazione in termini di qualificazione e competenza, che non può disperdersi ulteriormente”, ha dichiarato il presidente della Fondazione studi Consulenti del lavoro, Rosario De Luca, facendo notare che solo nelle professioni intellettuali il 54% è donna. “Per questo è necessario attuare un mix di politiche – dal potenziamento dell’offerta e dell’accessibilità dei servizi che favoriscono la conciliazione vita-lavoro a percorsi formativi spendibili nel mercato del lavoro – che sostengano concretamente l’occupabilità delle donne, arginando il rischio che molte di loro possono chiamarsi fuori dal circuito lavorativo. L’innovazione dell’organizzazione del lavoro rappresenta da questo punto di vista un obiettivo prioritario, soprattutto per consentire un nuovo e adeguato ricorso allo smart working in questa seconda fase critica della pandemia. La crisi sanitaria può essere l’opportunità per molte aziende per rivedere i propri modelli organizzativi e renderli più flessibili alle esigenze delle donne, così da poter superare quelle storiche contraddizioni che caratterizzano il lavoro femminile nel nostro Paese”.
Occupazione femminile e home working
L’esperienza dell’home working, pur funzionale all’emergenza del momento, ha mostrato diverse controindicazioni, di cui organizzazioni e politica dovranno tenere conto per rimettere mano allo strumento del cosiddetto smart working che avrebbe molteplici potenzialità se ben realizzato. La sensazione, lavorando da casa, di dover essere “always on”, disponibile a tutte le ore e per qualsiasi richiesta, il venire meno dei confini tra lavoro professionale e di cura, le preoccupazioni di non raggiungere i risultati attesi, la scarsa flessibilità di molte organizzazioni, ma anche l’allontanamento fisico dalla dimensione lavorativa, fatta di luoghi e relazioni, rischiano nel lungo periodo di lasciare un malessere profondo nel rapporto tra donne e lavoro.