Imprenditoria femminile

Agricoltura: boom di imprese guidate da donne

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Secondo uno studio realizzato da Donne in Campo-Cia si tratta di quasi 500mila aziende, dato che si prevede in crescita entro il 2020

Sono quasi mezzo milione le aziende agricole a guida femminile, oltre il 30% del totale. È quanto emerso durante l’iniziativa Insieme alle donne per il bene comune: dalla salvaguardia al recupero dei territori, organizzata da Donne in Campo-Confederazione italiana agricoltori. Secondo l’indagine, sei imprese su dieci sono radicate nel luogo d’origine, dove hanno sviluppato attività agricola creando occupazione e salvaguardando al contempo sapori e culture locali. Non solo: il settore si conferma un terreno fertile per fare impresa: il 10% delle imprenditrici lavora nel comparto, a fronte di una quota che tra gli uomini si ferma al 6,6%.

Le prospettive a medio termine lasciano ben sperare, lo studio della Cia stima infatti che da qui al 2020 le donne saranno alla guida del 40% delle imprese agricole. Inoltre, nelle aziende rosa la multifunzionalità si concretizza negli ambiti più creativi: fattorie didattiche (33,6%), agriturismi (32,3%), attività ludiche e sociali (31,1%), trasformazione dei prodotti (29,2%) e produzione di energia verde (16,3%), con il risultato che i ricavi sono più alti in media del 15% rispetto alle imprese a conduzione maschile. 

Le donne, insomma, sono sempre più “protagoniste e costituiscono un anello particolarmente forte del tessuto economico del Paese” ha evidenziato la presidente di Donne in Campo, Mara Longhin. “Non solo: offrono risposte concrete alla sempre più accentuata carenza di welfare. Risposte come gli agri-asili, le fattorie didattiche e quelle sociali che includono persone disabili, anziani e migranti. In questo modo mantengono vive comunità rurali curando la terra e il paesaggio, rammendando il tessuto sociale, recuperando e difendendo la biodiversità”. 

L’Italia custodisce un patrimonio di biodiversità fatto di sapori unici e inimitabili, spesso inscindibili dal territorio: si tratta di oltre 5mila prodotti agroalimentari tradizionali che, per volumi ed estensione territoriale, non rientrano nei parametri delle Dop e delle Igp ma che rappresentano la storia e la spina dorsale del Made in Italy italiano. E una su quattro rischia l’estinzione: dalla castagna “ufarella” del casertano al formaggio “rosa camuna” della Valcamonica, dalla fava di Leonforte dell’ennese al sedano nero di Trevi, dalla pera “cocomerina” alle mille varietà di grani antichi: produzioni ignorate dai canali ufficiali della grande distribuzione, spesso più vulnerabili di fronte alla minaccia del consumo di suolo. È per questo che secondo il vice ministro per le Politiche agricole, Andrea Olivero, “abbiamo bisogno di una triplice sostenibilità: ambientale, economica e sociale”. E in questo senso “l’imprenditoria femminile è una delle basi fondamentali da cui partire per raggiungere questo obiettivo”. 

(dar)

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