A cura di Mariangela Giusti, Docente di Pedagogia interculturale all’Università degli Studi Milano-Bicocca
Dopo i fatti drammatici di Parigi del 13 novembre, le televisioni e i media hanno proposto servizi, articoli di approfondimento, interviste. Ogni mezzo è buono per documentare ciò che è successo, ma anche per aiutare le persone a comprendere come sono accaduti i fatti, per fornire informazioni e interpretazioni di tutto l’orrore provocato in nome dell’odio e per ricordare le vittime innocenti di questa strage.
Anche a distanza di giorni la gente si ritrova sotto la statua della Marianna in Place de la République, di fronte al teatro Bataclan (il luogo più colpito), di fronte al Caffè Carillon e al ristorante Le Petit Cambodge. Le persone accendono candele, portano fiori, si soffermano per un momento di riflessione o di preghiera.
Anche dopo la pioggia battente degli ultimi giorni, sono sempre tanti coloro che tornano sui luoghi simbolo della città a riaccendere i lumini e le candele, come se fosse una piccola missione che deve essere compiuta.
Fra tante interviste fatte sui luoghi della strage, una in particolare è stata ripresa da diverse televisioni italiane e mandata in onda diverse volte. È stata realizzata da un giovane giornalista di una Tv francese: ne parliamo qui solo perché ha a che fare con l’educazione e ci consente di sviluppare qualche riflessione valida per tutti coloro che hanno figli piccoli. Il giornalista si trova proprio in Place de la République, vicino al basamento della statua della Marianna, dove si trovano decine e decine di persone. Con molto tatto e senza essere invasivo, raccoglie la testimonianza di un bambino piccolo, di circa quattro anni [ricordiamo che in Francia non c’è lo stesso codice deontologico dei giornalisti italiani, ndd], che si trova lì col padre, un giovane uomo parigino dai tratti orientali, si direbbe cinese.
Il giornalista chiede al bambino se ha capito cosa è successo: lui risponde che Sì, è successo che queste persone sono molto cattive; seguono alcuni secondi di silenzio riflessivo, poi (senza neppure accorgersi del grosso microfono rosso che il giornalista tiene vicino a lui e al babbo) continua da solo a riflettere e riprende a parlare: Occorre fare molta attenzione – dice il bambino – Bisogna cambiare casa…
La logica infantile non fa una piega: è successo un cataclisma, sono morte delle persone per colpa di persone malvage, dunque scappiamo, cambiamo casa, cambiamo mondo… Ma interviene la logica dell’adulto: in modo pacato il padre gli dice che Non si deve avere paura, non c’è bisogno di cambiare casa perché la Francia è la nostra casa. Questo suggerimento non cade affatto nel vuoto, infatti il bambino lo sa cogliere per riflettere ancora; ribatte piano piano che Sì, questo è vero…ma se ci sono i cattivi…come si fa? E il padre lo segue nel suo ragionamento: È vero – gli risponde – ma purtroppo i cattivi ci sono da tutte le parti… Il bambino stranamente trova quasi una rassicurazione in questa frase, l’accoglie, la fa sua ma replica: I cattivi hanno le pistole per spararci addosso… perché sono molto cattivi…
In questo punto preciso il padre, che ha una faccia molto rassicurante, per un attimo non sa che cosa dire perché il ragionamento del bambino è lucido e lui non vuole mentirgli. Occorre dare al figlio qualche elemento concreto da cui possa riprendere speranza e fiducia. Già è vero – gli risponde – ma se loro hanno le pistole noi abbiamo tanti fiori…
A questo il bambino non aveva pensato: volta la testa verso il basamento della statua, vede che è proprio così, che ci sono davvero tanti fiori lì, ma dice I fiori non servono a niente… Il babbo li indica di nuovo: Servono per combattere gli assassini… – gli replica piano. Ecco un’informazione in più, che il bambino non aveva ancora ma che lo aiuta a completare il quadro. E così, riguardo ai fiori chiede Sono qui per proteggerci? Sì, risponde il padre sicuro. E lui ancora: E tutte queste candele? Ecco un’altra risposta che da solo non poteva avere: Sono per non dimenticare le persone che se ne sono andate… Il bambino chiede ancora conferma: Dunque i fiori e le candele sono qui per proteggerci? Sì, dice il padre…
Il giornalista interviene solo a questo punto per chiedere se ora va meglio. Il bambino annuisce.
Questa breve conversazione fra il bambino e il padre è un esempio di un’attività pedagogica ed educativa: lo scaffolding (un termine inglese che significa “impalcatura”, “struttura di sostegno”). È come se l’adulto (l’insegnante, l’educatore o, in questo caso, il genitore) costruisse un’impalcatura per facilitare l’attività di comprensione da parte del bambino. L’adulto deve riuscire a comprendere che il bambino intende affrontare un compito complesso per il quale non possiede ancora gli strumenti cognitivi idonei. Dunque cosa può fare? Gli può dare il suo aiuto fornendo un’impalcatura che sostenga la sua esperienza. Il “sostegno” dovrebbe essere calibrato in modo da adattarsi al livello di abilità del bambino e da farlo progredire a piccoli passi, ma in modo costante, oltre il livello attuale, in modo da divenire più consapevole di un’idea, di un concetto, di un’abilità.
Fornire un tipo di struttura di sostegno, di scaffolding, significa rispondere in modo contingente alle attività, agli interessi, alle domande del bambino. Il genitore deve stimolare e incoraggiare lo sviluppo di nuove abilità aiutando il bambino a organizzare la propria esperienza mentale in modi nuovi. Lo scaffolding può essere utilizzato a partire già dai 10 mesi e proseguito poi per tutta l’età evolutiva. È una guida importante, è una forma d’insegnamento che dovrebbe essere presente spesso nelle relazioni genitore/bambino perché consente di attirare l’attenzione su oggetti ed eventi interessanti, di guidare il comportamento del bambino in modo semplice facendo entrare in gioco la sua abilità d’imitazione.