di Mariangela Giusti, Docente di pedagogia interculturale all’Università di Milano Bicocca
Le immagini trasmesse negli ultimi giorni, che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo, fanno lo stesso orrore che facevano le prime, trasmesse alcuni mesi fa. Ma per chi si occupa di educazione e formazione, quelle immagini vanno a incidere sulle coscienze di chi si sta formando alla vita. C’è una ricaduta a cascata che riguarda i minori e le scuole e poi, di conseguenza, la convivenza civile fuori dalle scuole. Questi filmati, che arrivano in rete e che in pochi minuti entrano ovunque nel mondo attraverso media e social, sono progettati nei minimi particolari, messi in scena, girati, diretti e interpretati con passaggi rigorosi dai fondamentalisti islamici. Hanno la precisa funzione di impaurire coloro che vivono sulla sponda opposta: gli italiani, appunto.
L’ultimo filmato diffuso mostra la fine terribile di ventuno cristiani vestiti in tute color arancione: paesaggio alle spalle irriconoscibile, colori dei vestiti opportunamente scelti, gesti senza esitazioni, movimenti lenti, assenza di pietà.
E’ vero che in tutti i periodi della storia le guerre fra popoli hanno portato stragi e massacri, ma ora vengono documentati, filmati, sparsi e diffusi. Cosa vogliono manifestare al mondo queste persone? Cosa vogliono insegnare?
Forse i filmati girati e diffusi vogliono essere un modo per comunicare che sono talmente forti e potenti che l’espansione dell’impero (iniziata da alcuni mesi e accelerata negli ultimi tempi) è inarrestabile e non la può fermare più nessuno?
Che tipo di immagine arriva delle popolazioni arabe ai ragazzi e agli adolescenti europei e italiani? Arriva la peggiore immagine possibile, è ovvio, e cancella in un momento anni e anni di lavoro educativo, attraverso il quale a scuola si è cercato di valorizzare le culture diverse da quella italiana. Questi filmati distruggono in pochi minuti un lavoro lungo e paziente che tanti e tanti educatori e insegnanti hanno fatto e continuano a fare nelle scuole e nelle occasioni dell’extrascuola.
Il rispetto per le culture altre non è affatto innato: va insegnato e richiede consapevolezza e competenza da parte di chi insegna. Ma quello che sta avvenendo lascia senza possibilità di controbattere.
Come si fa a continuare a parlare bene della cultura araba, quando i ragazzi vedono scene così truci? Così prive di cultura? In fondo la cultura è un complesso insieme di valori condivisi, credenze, comportamenti insegnati e appresi, che vengono trasmessi, spesso inconsciamente, da una generazione all’altra. Ogni individuo è plasmato e formato dalla propria cultura; comprende forme di comportamento verbali e non verbali. Questi comportamenti si fondano su valori e credenze che si cementano all’interno di chiunque. I valori e le idee spiegano quello che vediamo e come lo vediamo, ciò che diciamo e come lo diciamo quello che decidiamo e come lo decidiamo, fornendoci quegli “occhiali culturali” attraverso i quali guardiamo il mondo. E’ facile intuire che la cultura è complessa e stratificata e va molto al di là della cultura nazionale. Le culture diverse si intrecciano e s’intersecano continuamente, in tante occasioni, si influenzano, procedono insieme, si cedono reciproci dati e eventi.
Ciascun individuo è il risultato di influenze diverse – dicono a scuola i docenti- e ciò dovrebbe mettere gli allievi in guardia da stereotipi e generalizzazioni.
Dicono ancora gli insegnanti, che ci sono le eccezioni: cioè che è sempre possibile trovare in qualsiasi cultura persone che non riflettono i tratti caratteristici o gli elementi fondamentali della cultura nazionale. Nelle occasioni educative gli insegnanti fanno di tutto per evitare che i bambini e i ragazzi crescano con pregiudizi. Gli insegnanti sono inclini a minimizzare le differenze culturali tra individui in modo da abituare gli allievi alla collaborazione, al rispetto, al riconoscimento della diversità culturale.
Ma come si fa, poi, a proseguire in un programma educativo interculturale quando la cronaca e le immagini non fanno altro che affermare il contrario? Ci vuole perseveranza, saggezza, pazienza…